L’etica della responsabilità in Hans Jonas

L’etica della responsabilità di Hans Jonas nasce in risposta alle problematiche dovute alla moderna civiltà tecnologica, per una visione a lungo termine. È dunque di fatto un’etica ambientale con forti aspetti di bioetica.

Hans Jonas è un filosofo tedesco di origine ebraica. Allievo di Husserl e Heidegger, nel 1933, a causa dell’avvento del nazismo, è costretto ad abbandonare la Germania per gli USA.
La seconda guerra mondiale e il progresso tecnologico lo portano a considerare il fatto che l’umanità debba essere messa di fronte ad una prospettiva poco incoraggiante: l’ipotesi dell’annientamento totale sia della specie umana sia di altre specie viventi.

Questa considerazione nasce da due constatazioni:

  1. L’etica tradizionale considera la condizione umana come data e sulla base di questa determina ciò che è bene e male. In realtà, la civiltà tecnologica ha portato ad un mutamento della natura dell’agire umano, con una tecnica moderna diversa da quella passata. È dunque necessaria una nuova etica.
  2. L’etica kantiana, dominante in quegli anni, è un’etica della reciprocità tra gli appartenenti alla società umana attuale. Non è dunque adeguata a rispondere a problematiche etiche riguardanti le società del futuro né ad un agire umano nei confronti di esseri viventi le cui azioni non hanno connotazioni morali. Non può esistere infatti reciprocità con le generazioni future né può esserci con le specie viventi diverse dall’essere umano.
  3. La tecnica, sempre più sofisticata e sempre più pervasiva, può diventare (e sta diventando) una minaccia sia per la sopravvivenza delle generazioni future, sia per tutti gli esseri viventi.

Jonas ritiene dunque che, anche se non può esserci reciprocità, noi esseri umani abbiamo comunque dei doveri nei confronti sia degli esseri umani che verranno, sia delle specie viventi che convivono con noi su questo pianeta.

In questo senso l’etica di Jonas è un’etica del presente per il futuro.

Etica della responsabilità vs Etica Kantiana

Già nel primo capitolo de Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (Einaudi, 2002) Jonas critica la prima formulazione dell’imperativo kantiano Agisci in modo tale che la tua massima possa valere come legge universale. Il concetto di possibilità qui usato viene considerato come possibilità logica e non morale. L’uomo deve agire affinché la sua massima valga logicamente come massima universale. Tuttavia, continua Jonas, che un’azione porti alla cessazione dell’umanità o al fatto che le generazioni presenti ottengano la propria felicità e benessere sulle spalle e a discapito della sopravvivenza delle generazioni future non è di fatto in contraddizione logica con l’imperativo kantiano, in quanto si parla di un futuro non ancora avvenuto versus un presente certo. Ciò che fa cascare il tutto l’apparato kantiano è la mancanza di reciprocità tra i due attori morali (presente e futuro).

Un imperativo adeguato a questo agire umano che ha pesanti ripercussioni a lungo termine sul futuro può essere riformulato, secondo Jonas, in questo modo:

Agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra.

Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi 2002, p. 16.

Ciò non significa tuttavia che l’etica kantiana sia da buttare via del tutto. Semplicemente non è valida per azioni che hanno conseguenze per il futuro. Resta tuttavia valida per le azioni morali presenti, reciproche, tra attori contemporanei.

Il cambio di prospettiva che propone Jonas si basa dunque sulla responsabilità e sulle conseguenze a lungo termine, al di là della reciprocità.
Forzando, si può considerare questo nuovo imperativo categorico jonasiano come un imperativo zero che sottende i restanti kantiani, come la legge zero delle leggi della robotica di Azimov sottosta alle altre tre.

L’etica della responsabilità come etica degli effetti

L’uomo, secondo Jonas, è tenuto a rispondere moralmente delle proprie azioni e delle proprie scelte nei confronti dell’altro anche se costui non può far valere le proprie pretese e i propri diritti.
La caratteristica sia delle generazioni future, sia degli esseri viventi presenti e futuri che non sono l’uomo è l’impossibilità di reclamare i propri diritti, sia per incapacità dovuta alla loro natura (un delfino, per quanto intelligente, non potrà mai sedersi al tavolo delle trattative con un essere umano), sia perché gli effetti di un agire nel presente possono avere ripercussioni su soggetti futuri. Questa loro caratteristica però non li esula dall’essere considerati come esseri depositari di diritti come l’uomo del presente.
Per questo motivo, l’etica della responsabilità di Jonas, proponendosi come un’etica per la civiltà tecnologica, vuole evidenziare la forza potenzialmente distruttiva del processo tecnologico moderno. Un progresso che se non controllato rischia di causare ingenti danni i cui effetti si noteranno nelle generazioni future.

Tali effetti possono essere prevedibili o non prevedibili, ma ciò non esula l’essere umano dall’esserne consapevole.

L’euristica della paura

Prevedibilità o non prevedibilità significano tuttavia incertezza. Come porci di fronte all’incertezza che le nostre azioni abbiano o non abbiano conseguenze negative per le generazioni future?

Jonas risponde a questo quesito proponendo il concetto di euristica della paura.

Se euristica significa ricerca, euristica della paura significa ricerca della paura. Ovvero, di fronte all’incertezza del nostro agire, Jonas propone di privilegiare la previsione più nefasta. Si tratta cioè di porre l’attenzione sulla più probabile conseguenza negativa delle nostre azioni. La paura che ciò desterebbe, ci aiuterebbe a porre l’attenzione sui princìpi di questa etica della responsabilità.

Con le parole di Jonas:

Soltanto il previsto stravolgimento dell’uomo ci aiuta a formulare il relativo concetto di umanità da salvaguardare; abbiamo bisogno della minaccia dell’identità umana – e di forme assolutamente specifiche di minaccia – per accertarci angosciati della reale identità dell’uomo. Finché il pericolo è sconosciuto, non si sa che cosa ci sia sa salvaguardare e perché. Il saperlo scaturisce, contro ogni logica e metodo, dalla percezione di ciò che occorre evitare. Questo ci appare in modo immediato e ci insegna, nel turbamento emotivo che precede il sapere, a riconoscere il valore di ciò il cui opposto così ci impressiona. Sappiamo che cosa è in gioco soltanto se sappiamo che è in gioco.

Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi 2002, p. 35.

Jonas non sta parlando di creare allarmismo. Non è questa la paura che gli interessa, ma semplicemente il portare alla luce il pericolo possibile, il mostrare che cosa potrebbe essere minacciato dal nostro agire.
L’emotività che si genera ci porterà ad agire con prudenza e responsabilità.

La prudenza nella bioetica

Questo criterio di giudizio sull’agire tecnico umano basato sulla prudenza e responsabilità viene riproposto da Jonas in un altro testo pubblicato nel 1985 Tecnica medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità (Einaudi).

Se ne Il principio responsabilità Jonas il filosofo ci ha mostrato le ragioni che sottostanno alla sua etica della responsabilità, in Tecnica, medicina ed etica la teoria diventa pratica.
Jonas applica il suo principio a tutte le questioni più rilevanti dell’etica medica, dalla clonazione alla sperimentazione umana e eutanasia.

La prudenza diventa per Jonas il principio primo della bioetica e questa prudenza si traduce nell’evitare che il progresso tecnico porti ad una reificazione (da res, cosa) dell’uomo (si può notare qui un’influenza dell’etica kantiana del rispetto).

Di fronte al progresso tecnologico, che Jonas non demonizza affatto, dobbiamo ricordarci che l’essere umano ha sempre e comunque una sua dignità e non è mai da considerare una cosa, sia l’essere umano presente che futuro.

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