Sul metodo induttivo e sulla demagogia: migranti e femminicidio

Il metodo induttivo è forse il metodo più criticato, non a torto, in tutta la filosofia della scienza. Pur essendo prettamente un metodo empirico, scade nella fallacia della generalizzazione indebita ovvero porta a derivare una tesi universale (tutti i P sono Q), da osservazioni particolari.

Sul metodo induttivo e sulla demagogia

Il metodo induttivo infatti non garantisce che le conclusioni siano sempre vere, perché è basato sull’osservazione di un numero finito di casi. Tuttavia è spesso utilizzato in politica, portando a demagogia e populismo, giocando sull’emozione più che sulla correttezza logica del ragionamento alla base ed elevando così casi particolari a problemi di interesse nazionale.

Ed è un comportamento trasversale, da destra a sinistra.

Critica al metodo induttivo: Karl Popper e il problema della verificazione

Il filosofo della scienza Karl Popper è stato uno dei più severi critici del metodo induttivo1, che egli considerava inadatto alla scienza per due motivi principali:

  1. L’impossibilità della verificazione: Nessun numero di osservazioni positive può dimostrare definitivamente una legge universale. Ad esempio, osservare migliaia di cigni bianchi non garantisce che non esistano cigni di un altro colore.
  2. Il problema della fallibilità: Il metodo induttivo non tiene conto della possibilità di falsificazione. Popper sosteneva che una teoria scientifica, per essere tale, deve essere falsificabile, ovvero deve prevedere condizioni che potrebbero dimostrarla errata.

In una politica demagogica, però, la verificazione o la falsificazione di un’idea sono spesso irrilevanti: ciò che conta è la capacità di suscitare emozioni e adesione. Questo rende il metodo induttivo particolarmente pericoloso quando viene usato per supportare tesi di larga portata sociale o ideologica.

Metodo induttivo e retorica politica: i migranti come criminali

Da destra, uno degli esempi più diffusi dell’uso improprio del metodo induttivo in politica è l’idea che i migranti siano tutti criminali. Questo ragionamento si basa su un’osservazione selettiva e volutamente parziale:

P commette un crimine A
Q commette un crimine B
R commetta un crimine C
P, Q e R sono migranti
Allora tutti i migranti sono criminali
Esiste un’emergenza nazionale di immigrati criminali.

Casi particolari vengono così amplificati, anche con una narrativa distorta da parte dei media, ignorando il fatto che la maggioranza non è coinvolta in attività illecite.

Si cade quindi in una generalizzazione indebita: “I migranti sono criminali”. Tale affermazione però, pur essendo logicamente fallace, si dimostra (purtroppo) retoricamente efficace perché:

  • Fa leva su paure preesistenti.
  • Offre una spiegazione semplice a fenomeni complessi.
  • Fornisce un capro espiatorio su cui concentrare l’attenzione pubblica.

Questo approccio non solo distorce la realtà, ma alimenta tensioni sociali e ostacola soluzioni basate su analisi più rigorose.

Tuttavia non solo la destra cade in un questa fallacia.

Metodo induttivo e femminicidio

Un altro esempio di uso controverso del metodo induttivo riguarda la narrazione attorno al femminicidio come problema nazionale. Senza sminuire la gravità del fenomeno, che è reale seppur più limitato di quanto sembri2, è importante notare come spesso vengano utilizzati dati parziali per costruire un quadro drammaticamente universale:

  • Alcuni casi di femminicidio, particolarmente violenti e mediatici, vengono enfatizzati.
  • La narrazione tende a suggerire che il femminicidio sia una condizione sistemica e pervasiva in tutta la società.

Da questa base induttiva si arriva a dichiarazioni che presentano il fenomeno come un’emergenza assoluta. Questo approccio, per quanto possa avere intenti nobili (sensibilizzare l’opinione pubblica), rischia purtroppo di:

  1. Semplificare la complessità del problema.
  2. Lasciare un fianco scoperto all’altra parte politica, che può strumentalizzare la fallacia di questo ragionamento per fini lontani dalla reale tutela delle donne.

Il tutto viene poi enfatizzato da un altro grosso problema: la stessa definizione di femminicidio è problematica. Si basa infatti sul movente dell’omicidio, ovvero l’intento specifico di uccidere una donna in quanto tale, cioè per questioni legate al genere.
Questo criterio, per sua natura, è difficilmente identificabile con certezza, poiché richiede di determinare le motivazioni psicologiche e sociali alla base del gesto criminale. Tale ambiguità apre la strada a interpretazioni soggettive e a un uso strumentale del dato, che rischia di gonfiare o distorcere la reale incidenza del fenomeno.

Di conseguenza, la costruzione di una narrativa basata su casi selezionati e su un concetto intrinsecamente ambiguo accentua il rischio di cadere nella demagogia, piuttosto che stimolare una discussione e sensibilizzazione volta alla comprensione e risoluzione delle problematiche reali di violenza di genere, che esistono (in crescita rispetto all’anno scorso stando alle chiamate effettuate al 15223), ma rischiano di venire offuscate da ragionamenti fallaci.

Disclaimer doveroso

Questo articolo non intende in alcun modo sminuire la gravità della violenza di genere, la questione della parità tra i sessi o il dramma del femminicidio. L’obiettivo è piuttosto quello di spostare l’attenzione su ciò che davvero serve per affrontare tali problemi, ponendo l’accento sull’importanza di utilizzare un approccio rigoroso e metodico per comprenderli e risolverli.

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