La definizione di Salute dell’OMS è rimasta invariata nel tempo dal 1948, seppur con tentativi di modifiche nel tempo mai andati in porto. Questa definizione però, seppur pregevole sotto certi aspetto, desta problematiche ed è ancora oggetto di dibattito.
La definizione di Salute, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità, risale al 1948 ed è la seguente:
Uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale e non mera assenza di malattia o infermità.
OMS, 1948
Nel 1998 venne proposta una leggera modifica alla definizione del 1948, per attualizzarla.
La salute è uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia.
OMS, 1998
Tuttavia questa proposta non venne attuata, in quanto non arrivò alla discussione all’Assemblea Generale, nonostante il parere favorevole della maggior parte dei rappresentanti dell’OMS stessa.
La definizione attualmente in voga è quindi ancora quella del 1948. Nonostante tuttavia la specificazione non mera assenza di malattia non rientri nel testo ufficiale, ciò non significa che questo aspetto non faccia parte della definizione di salute. Definirla come uno stato di completo benessere psicofisico, emotivi e sociale già di per sé significa considerarle la salute ben oltre la semplice assenza di malattia.
I pregi dell’attuale definizione di salute
L’attuale definizione di salute è alla base di una visione sociale della medicina che non è più vista come una disciplina isolata, ma strettamente collegata a fattori sociali, culturali, politici ed economici. Abbandonare il concetto negativo di salute come assenza di malattia apre la medicina alla cura della persona e non al mero debellare la malattia.
L’individuo viene considerato oltre la sua condizione puramente biologica, verso un concetto di equilibrio tra sé, il proprio corpo e l’ambiente circostante.
Da un lato si ha quindi un riferimento chiaro al considerare la persona come un tutt’uno mentale e fisico. Dall’altro si considera la salute dal punto di vista della persona stessa: la salute è strettamente legata ad una personale e insindacabile aspettativa sulla propria condizione, che dipende strettamente dall’idea che un individuo ha di sé.
Io mi ritengo in salute se mi sento bene sulla base di uno standard che per me è la condizione ideale. Variazioni da questo standard possono esser dovuti a problemi sia fisici sia psicologici che emotivi. La cura della persona deve quindi considerare tutti questi punti per ristabilire lo standard di benessere personale.
Ciò significa che il compito della medicina non può ridursi semplicemente a guarire una malattia, ma andare oltre.
I difetti dell’attuale definizione di salute
Tutelare la salute di una persona non si riduce quindi al curare la malattia per cui è affetta, ma va oltre, verso un completo benessere. Ciò se da un lato ha comportato una maggior tutele per gli individui, dall’altro ha causato una maggiore medicalizzazione della società.
Chi di noi può dirsi in completo benessere psicofisico e sociale?
Molto pochi.
Basta, paradossalmente, una situazione di disagio per essere non in salute. Il requisito per essere in piena salute, così come è ora definita, è pressoché irraggiungibile nella società attuale, lasciando di fatto malati la maggior parte di noi per la maggior parte del tempo.
Le ricadute di ciò?
Le soglie per considerare qualcuno malato si fanno sempre più ampie man mano che la società si fa più complessa. Ciò porta le tecnologie di screening a rilevare anomalie a livelli che, di per sé, non provocherebbero malattie nel senso più blando del termine e vengono prodotti e assunti farmaci per condizioni che precedentemente non venivano definite malattie.
Inoltre, una definizione di questo tipo, non tiene conto dell’allungamento dell’aspettativa di vita, sicuramente un fattore positivo, ma che porta con sé un aumento anche delle persone affette da malattie croniche. Queste persone sono sì malate, ma riescono a convivere con la cronicità della malattia, grazie ovviamente all’aiuto di farmaci, si adattano e raggiungono un benessere personale paragonabile a persone sane. Un benessere tuttavia che non può essere definito completo, in quanto chi è affetto da una malattia cronica (o pure di una disabilità) dovrà sempre e comunque convivere con una malattia che, se non curata, diventa invalidante. Curare una malattia cronica però non significa però semplicemente avviare un approccio specialistico che né elimini i sintomi e ristabilisca il normale funzionamento dell’organismo, ma significa valutare globalmente la condizione della persona, nel nome della sua dignità e qualità di vita.
Infine, completo benessere presenta uno status pressoché irraggiungibile, con ripercussioni anche sul concetto stesso di diritto alla salute, un diritto di qualcosa che non ha confini, che si espande e ingloba pressoché tutto.
Si potrebbe obiettare che questo diritto alla salute quasi assoluto potrebbe essere considerato come l’ottimo a cui tendere e in un certo senso è un’osservazione valida, ma rischia invece di essere uno streben (in senso romantico e non fichtiano) come tensione verso l’assoluto che genera frustrazione e costante inadeguatezza.
Per questi motivi è stata proposta una nuova definizione di salute, che però non ha avuto riscontro nella comunità medica, ovvero salute come:
Capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive.
Machteld Huber et al. How should we define health? BMJ 2011;343:d4163
Viene ripresa la definizione di salute come adattamento perfetto e continuo di un organismo al suo ambiente (Wylie, 1970).
Cosa cambia rispetto alla definizione classica?
Beh, tutto.
È una sorta di rivoluzione copernicana della definizione di salute che mette al centro la capacità del singolo di adattarsi. Non è più un valore assoluto a cui tendere, ma è un saper far fronte e convivere con la propria condizione. Non è uno “stato”, ma una condizione dinamica di equilibrio, fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l’ambiente in modo positivo.
Attenzione però: un cambio di paradigma come questo non è esente da problemi, forse maggiori della definizione attuale di salute. Ad esempio, quali ricadute il concetto di adattamento avrebbe su un diritto alla salute così inteso nell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
Dichiarazione universale dei diritti umani
Cambiare la definizione di Salute dell’OMS significa avere ripercussioni anche sul concetto di Salute espresso nella Dichiarazione Universale dei diritti umani.
Inoltre il concetto stesso di adattamento rischia di causare l’effetto opposto di quanto visto per il concetto di completo benessere, di fatto considerando non meritevoli di cure individui che sanno adattarsi a vivere in condizioni di oggettiva indigenza.
Ottimo il suo articolo, grazie. Penso che il problema, cui lei accenna, riguardo alla definizione ulteriore della salute in quanto capacità di adattamento, riguardi il fatto che anche questa definizione riduce la questione della salute a una questione individuale. Sembra che sia l’individuo a doversi adattare, mentre è evidente, credo, che il rapporto sia bidirezionale. Una società che propone dei modelli di benessere irraggiungibili per alcuni, raggiungibili a costi enormi per la maggior parte delle persone e raggiungibili solo da pochissimi senza effetti collaterali, per così dire, o senza ricadute sulla propria salute, è una società tossica. Dobbiamo mettere in discussione il paradigma e non solo il vissuto individuale. Anche perché un paradigma tossico ammala le persone: nei loro corpi o nelle loro menti o nelle loro anime, se questa è una categoria che vogliamo considerare. Si crea in questo modo un circolo vizioso in cui sempre più vengono esclusi da un benessere fondamentale, che è forse semplicemente il fatto di essere vivi, e sani abbastanza per poterne godere.